Credito, un diritto inalienabile per tutti

Una riflessione sul sistema bancario e sul futuro del credito cooperativo firmata da Stefano Zane, consigliere di Cassa Padana e socio fondatore dello studio Vitale e Zane di Brescia

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17 giugno 2021
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di Stefano Zane
Consigliere di Amministrazione di Cassa Padana e socio fondatore dello Studio VitaleEZane di Brescia

Premesso che a nostro avviso, secondo il concetto elaborato dal premio Nobel per la pace 2006 Muhammad Yunus, il credito è un diritto umano fondamentale, è lecito chiedersi se in questa fase storica in Italia questo diritto (che fonda la sua essenza sulla fiducia) non sia messo in pericolo.

Da anni viviamo la stagione delle concentrazioni bancarie in nome dell’efficienza e del contenimento del rischio sistemico, ultima è l’operazione Intesa-UBI che probabilmente ha aperto la strada ad altre aggregazioni.

Il bilancio della riorganizzazione del sistema bancario ad oggi non è da considerare positivo: il sistema bancario italiano si è fortemente impoverito, soprattutto nella componente delle banche minori e di quelle maggiormente al servizio dei territori, che tanto hanno fatto nel passato a sostegno della struttura delle piccole e medie imprese italiane.

Il risultato dell’applicazione della riforma del 2015 delle Banche Popolari è devastante: delle 10 banche popolari cooperative che dovevano trasformarsi in società per azioni, una è stata assorbita da una Banca più grande (UBI, la prima popolare a trasformarsi in Spa), due sono fallite (Veneto Banca e Popolare di Vicenza lasciando sguarnito il Veneto di una banca di territorio), cinque sono state acquistate da fondi di investimento di matrice prevalentemente americana, cambiando quindi completamente approccio (Popolare di Milano, Banco Popolare, BPER, Creval e Popolare di Bari), rimane solo la Popolare di Sondrio a resistere a questa pressione esterna.

Sul fronte delle BCC assistiamo quotidianamente alle difficoltà delle stesse nello svolgere il ruolo di banche del territorio, oppresse e vincolate come sono da disposizioni e regolamenti dell’organismo di vigilanza, la BCE.

Infatti la riforma del credito cooperativo del 2016 è incentrata sulla nuova figura dei Gruppi Bancari Cooperativi (modello giuridico unico nel suo genere in Europa) con compiti di “direzione e coordinamento” delle Banche aderenti le quali, per altro, detengono la proprietà delle rispettive Capogruppo e mantengono inalterate le loro caratteristiche di banche locali, mutualistiche, cooperative con licenza bancaria individuale.

I gruppi operativi sono due (Gruppo Bancario Cooperativo Iccrea e Gruppo Bancario Cooperativo Cassa Centrale Banca) ed in virtù dei dati consolidati di gruppo, gli stessi sono assoggettati alla vigilanza diretta della BCE, così come altre 10 banche significative italiane.

Ciò comporta che le regole, i controlli ed i vincoli applicati a banche di grandi dimensioni quali Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM, MPS (per citare le prime quattro) si applicano a cascata alle singole BCC che hanno tutt’altra dimensione, tutt’altra organizzazione e tutt’altra clientela.

La gestione delle banche minori oggi è fortemente condizionata da regolamenti, disposizioni, parametri, algoritmi che definiscono rating, di diretta derivazione dalla vigilanza.

Nel caso delle BCC il quadro normativo è lo stesso delle grandi banche. È perciò di tutta evidenza la mancanza di proporzionalità e lo squilibrio concorrenziale a scapito delle BCC. Il buon senso suggerirebbe invece di tenere conto delle dimensioni delle banche, della natura delle stesse e del relativo mercato di riferimento.

L’esasperazione delle regole e degli algoritmi è all’origine di situazioni grottesche quali ad esempio segnalazioni della vigilanza per la mancanza del Business Plan nella pratica di affidamento di una piccola carrozzeria oppure il blocco di una pratica per la segnalazione di uno sconfino di 1.000 euro (in realtà 25 euro perché il sistema di Centrale rischi arrotonda al migliaio superiore).

La conseguenza (o l’obiettivo?) è la costante pressione per la svalutazione dei crediti e per la loro anticipata cessione, la chiusura degli sportelli e le aggregazioni. Il tutto nella convinzione, tutta da dimostrare, che l’efficienza del sistema bancario si ottenga solo con le grandi dimensioni.

Fortunatamente si cominciano a sentire voci fuori dal coro, ancora troppo poche, che contestano, con i fatti e gli studi, il binomio efficienza-grande dimensione. Una recente ricerca ha dimostrato che la presenza delle banche cooperative minori ha un effetto mitigatore del rischio sistemico finanziario.

Fino ad oggi si è cercato di misurare l’efficienza del sistema bancario in nome del gigantismo dimenticando del tutto il tema dell’efficacia, cioè della capacità di raggiungere un obiettivo.

Il punto centrale è proprio questo: si deve tornare a ragionare sugli obiettivi e su quali debbano essere gli obiettivi delle banche e di come gli stessi possano cambiare in base alle dimensioni degli istituti bancari.

Concentrandosi sulla efficacia emergerebbe con forza il tema dell’importanza delle banche territoriali che devono garantire il diritto all’accesso al credito per quelle categorie di clienti di dimensioni ridotte che le grandi banche non possono e non vogliono seguire.

Come ha segnalato il Presidente di Assopopolari, Corrado Sforza Fogliani, in un suo recente intervento: “Le zone che hanno saputo conservarsi una banca locale è statisticamente provato che non soffrono nel mercato del credito e che la banca locale anche in questi anni ha continuato ad erogare, ed ha erogato, più credito, in assoluta controtendenza nella zona rispetto sia al sistema nel suo complesso che rispetto alle altre singole banche, che hanno invece
diminuito il credito”.

È evidente che ormai il mezzo (l’efficienza, i controlli, i regolamenti, gli algoritmi) è diventato il fine ed in questa situazione è davvero difficile pensare che ci possa essere una adeguata disponibilità di credito per le imprese soprattutto quelle di minori dimensioni.

Le imprese più grandi, se adeguatamente strutturate e preparate, possono infatti accedere a forme alternative di finanziamento diverse da quello bancario, quelle minori rischiano invece di non avere interlocutori a cui chiedere il credito.

Il grande rischio che si sta correndo, se non si interviene per tempo, è che a una parte molto rilevante del nostro sistema economico (piccole e medie imprese, artigiani, commercianti, professionisti) sia precluso il diritto umano fondamentale al credito, con tutte le conseguenze che da ciò deriverebbero.

Oggi purtroppo non possiamo contare sulla Banca d’Italia che non pare avere consapevolezza del problema; ci auguriamo perciò che questo grido di allarme venga raccolto da quella parte di sistema economico, speriamo non residuale e soprattutto dei rappresentanti dell’imprenditoria produttiva, che ha ancora a cuore lo sviluppo del nostro Paese.