Vogliamo sostenere la ripartenza anche del terzo settore, ma come?
di Stefano Boffini
Progetti territoriali e Cooperazione sociale
Cassa Padana
Ci sono istituti di credito che negli ultimi anni, grazie anche al crescente ruolo assunto dal Terzo settore, hanno maturato una conoscenza profonda delle sue dinamiche e dei suoi problemi, anche di quelli più strettamente operativi perché non si sono limitati a fare solo da soggetti finanziatori.
Tra questi istituti possiamo certamente annoverare la nostra Cassa Padana, la Banca di credito cooperativo bresciana che non solo ha da sempre avuto un occhio di riguarda per le realtà locali di Terzo settore e interagito con esse, ma si è comportata essa stessa come ente di Terzo settore, realizzando prima, e gestendo poi direttamente, attività come ospedali, comunità residenziali, servizi di assistenza, fondazioni per la valorizzazione territoriale e partecipando al capitale delle cooperative sociali con idee imprenditoriali più innovative, per dare un contributo al loro sviluppo.
Siamo stati quindi dentro le questioni, vivendo anche in prima persona i problemi e contribuendo direttamente alle soluzioni.
E ci siamo dentro tuttora, dal momento che in questi giorni ci sono arrivate e ci continuano ad arrivare richieste di sostegno finanziario delle realtà di terzo settore con cui in questi anni abbiamo collaborato.
Richieste che saremmo in condizione di esaudire – come per molte imprese – se potessero contare, come le imprese appunto, sulle garanzie statali previste dal recente Decreto Liquidità.
Per questo siamo rimasti sorpresi nel prendere atto che esso, almeno per il momento, lasci fuori dalla possibilità di godere della garanzia statale sugli interventi volti ad agevolare l’accesso al credito e alla liquidità tutte le organizzazioni di Terzo settore che non abbiano natura di impresa (quindi prive di iscrizione alla Camera di Commercio), indipendentemente dalla rilevanza economica e occupazionale oltre che sociale della loro attività e senza alcuna considerazione di quanto – e se di più o di meno delle imprese convenzionali - esse siano state colpite dalla pandemia in corso.
In altri termini il Decreto dimentica non solo una larga parte del Terzo settore che opera alla frontiera, ma anche una pezzo rilevante di urgente domanda di liquidità.
E una parte fondamentale di welfare territoriale che concorre in modo decisivo alla coesione sociale della comunità oltre svolgere un’attività generalmente ad alta intensità lavorativa, con quindi un forte impatto anche dal punto di vista occupazionale.
Per dare un’idea della gravità della situazione e quindi anche gravità della dimenticanza del governo un solo esempio può valere per tutti: quello delle case di riposo, oggi per tante ragioni purtroppo nell’occhio del ciclone.
La quasi totalità delle RSA del territorio di operatività della nostra banca è gestita da fondazioni private che sostengono l’attività non tanto grazie al patrimonio, ma attraverso le rette pagate dai pazienti.
Come è noto tutte queste strutture, anche quelle più attente al benessere dei loro pazienti, sono state particolarmente colpite su tanti fronti dall’emergenza coronavirus e si trovano con problemi forti – attuali e soprattutto in prospettiva.
Nell’immediato si tratta dei problemi dovuti al verificarsi congiunto di una riduzione dei ricavi e ad un aumento dei costi soprattutto di personale, a causa del crescente ricorso a straordinari e doppi turni per sostituire gli operatori in malattia.
In prospettiva dovranno affrontare i costi per la riorganizzazione delle attività e delle strutture che necessariamente dovrà essere messa in campo, con ripensamento dei servizi e definizione di nuovi, eventuali fusioni per arrivare alla soglia dimensionale minima necessaria a garantire la sostenibilità in un contesto che sarà tutto diverso dal passato.
Ma ci sono anche altre situazioni che una manovra sulla liquidità non potava trascurare, come ad esempio quella degli asili, delle scuole, dei servizi di assistenza nel campo della salute, della disabilità, del disagio, della valorizzazione territoriale che alimenta l’identità di un territorio e che riveste un significato facilmente intuibile non solo dal punto di vista culturale, ma anche da quello più propriamente economico-produttivo.
Anche molte di queste, a seguito del blocco dell’attività e quindi della riduzione delle entrate hanno bisogno della liquidità almeno per affrontare le spese fisse.
In sintesi, la nostra esperienza ci dice che in ogni territorio sono molte le realtà che, pur non essendo formalmente imprese, hanno un impatto plurale e tutt’altro che trascurabile nella comunità.
E’ vero che il provvedimento del Governo è stato incardinato sul Fondo per la piccole e medie imprese, così come è vero che molte di queste organizzazioni avrebbero già dal 2006 potuto assumere lo status giuridico di impresa sociale e che se lo avessero fatto avrebbero oggi accesso alla garanzia statali.
Ma, dato lo stato straordinario di crisi, non si vede per quale ragione non possa essere creato un fondo ad hoc per dare copertura a tutte le realtà di terzo settore non imprenditoriali.
Siamo una Banca di Comunità che ha nel DNA, oltre che nella sua formula imprenditoriale distintiva a volontà di essere al fianco certamente delle piccole e medie imprese che rappresentano il segmento core dell’azione di intermediazione, ma anche di tutti questi soggetti non imprenditoriali, con l’obiettivo di partecipare fattivamente alla loro ripartenza e riorganizzazione.
Al di là comunque delle diverse soluzioni che tecnicamente possono essere messe in campo, la sostanza delle cose è che dobbiamo essere messi almeno minimamente nelle condizioni di poterlo fare.
Viviamo tutti, persone, organizzazioni, istituzioni in un momento di profonda fragilità dove razionalmente si fa fatica a vedere il futuro e il modo concreto per costruirlo e abbiamo bisogno di soggetti che almeno simbolicamente ci indichino la strada per andare oltre.
Il Terzo settore, quello vero che è poi la stragrande maggioranza della realtà dei casi, è una di queste perché ha dimostrato di saper generare soluzioni durature che, all’inizio parevano impossibili dal punto di vista tecnico, organizzativo e soprattutto della sostenibilità economica nel tempo.
In passato, proprio dalla relazione e dalla condivisione profonda fra le persone delle loro fragilità, sono sempre nate cose importanti, istituzioni forti, imprese vive, destinate a durare a lungo e a costruire situazioni di benessere diffuso.
Speriamo che sia così anche questa volta.